Il grido d'allarme
"Free Palestine!". Palestina libera. Quando l'amministrazione Biden utilizza ripetutamente il veto all'Onu per bloccare un cessate il fuoco; Israele è imputato alla Corte dell'Aja con l'accusa del crimine di genocidio; l'Europa sospende gli aiuti economici all'Unrwa-Onu, l'unico organismo che sostiene la popolazione nella Striscia di Gaza da più di 75 anni; le vittime civili palestinesi superano 30.000, metà delle quali sono minorenni; qualcuno si domanda – giustamente – se abbiamo le mani sporche di sangue, e se i governi occidentali sono diventati impermeabili al dissenso dei cittadini, allora il grido di protesta è un dovere civile e un obbligo morale.
"Free Palestine!". Palestina libera. È il grido d'allarme di Aaron Bushnell, soldato venticinquenne dell'aeronautica statunitense, mentre il suo corpo è straziato dalle fiamme davanti all'Ambasciata israeliana a Washington. Come il monaco buddista Thich Quang Duc a Saigon nel 1963 o il cecoslovacco Jan Palach a Praga nel 1969, Aaron Bushnell denuncia la distruzione e la strage in corso a Gaza bruciandosi vivo. Non vuole essere complice di un genocidio. Ha il coraggio di morire per gli altri. Sacrificarsi per la speranza dell'oggi. È un gesto d'allarme, uno schiaffo agli oppressori e un terremoto nei cuori di milioni di persone. Non c'è niente di più doloroso che bruciare vivo e, nel mentre, gridare ripetutamente: "Free Palestine!". Palestina libera.
Il suo sacrifico inchioda tutti - dalle istituzioni rappresentative ai comuni cittadini - alle proprie responsabilità. Assistiamo impassibili alla dissoluzione di valori e ideali fondamentali, quali la giustizia, la cooperazione e la legalità, che sono all'origine delle nostre democrazie occidentali. Quasi indifferenti alle guerre e anestetizzati alla pace. Abbiamo bisogno di riflettere sul grido d'allarme lanciato da Aaron Bushnell. Glielo dobbiamo. Nessuno escluso.