Il massacro di Sabra e Shatila

10.04.2024

Nel settembre del 1982, uno degli eventi più tragici della storia moderna del Medio Oriente ebbe luogo nei campi profughi di Sabra e Shatila, nella parte occidentale di Beirut. Il massacro che ebbe luogo dal 16 al 18 settembre ha lasciato una cicatrice indelebile nella coscienza collettiva della regione, in particolare nei palestinesi rifugiati in Libano dopo essere stati cacciati dalle proprie case durante la Nakba. La scoperta della brutalità degli orrori perpetrati contro uomini, donne e bambini inermi ha scatenato una forte indignazione internazionale.

Nel 1982, Israele invase militarmente il Libano con l'obiettivo dichiarato di cacciare l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e il suo leader Yasser Arafat dal Libano.

Dopo pochi mesi di combattimenti e bombardamenti, le truppe israeliane occuparono la capitale e circondarono i campi profughi di Sabra e Shatila. Nel mentre, il Presidente della Repubblica libanese venne ucciso da un attentato, i cui mandanti ed esecutori sono ancora ignoti, e i militanti del partito cristiano libanese (Falangi) accusarono i palestinesi rifugiati nei campi profughi. 

Con la connivenza delle forze israeliane, il 16 ottobre le Falangi libanesi entrarono nei campi profughi di Sabra e Shatila: le persone inermi subirono per tre giorni e tre notti la furia cieca dei miliziani che si fermavano solo se stremati dalla fatica fisica delle uccisioni e andavano a riposare lasciando il posto ad altri miliziani. Dopo la strage, alcuni corpi furono gettati in fosse comuni, nel tentativo di coprire le dimensioni del massacro, ma i cadaveri erano troppi e molti furono lasciati nelle strade.

Il numero esatto delle vittime è oggetto di dibattito, le stime variano tra 800 e 3.500 persone.

Nessuno ha pagato per la strage.

Sabra e Shatila esistono tuttora.


David Lamb, Los Angeles Times, 23 settembre 1982:

Alle 16 di venerdì il massacro durava ormai da 19 ore. Gli Israeliani, che stazionavano a meno di 100 metri di distanza, non avevano risposto al crepitio costante degli spari né alla vista dei camion carichi di corpi che venivano portati via dai campi.


Elaine Carey, Daily Mail, 20 settembre 1982:

Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L'odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l'uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore.


Loren Jankins, Washington Post, 20 settembre 1982:

La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l'angolo, in un'altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti - dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 - raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull'altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche.


Testimonianza di Ellen Siegel, cittadina ebrea americana, infermiera volontaria:

In cima all'edificio soldati israeliani guardavano verso i campi con i binocoli. Miliziani libanesi arrivarono in una jeep e volevano portare via un'assistente sanitaria norvegese. Ci rivolgemmo a un soldato israeliano che disse ai miliziani di andare via. Infatti partirono. Alle 11.30 circa gli israeliani ci condussero a Beirut Ovest. Sedetti sul sedile anteriore di una jeep della IDF. L'autista mi disse: «Oggi è Rosh haShana. Vorrei essere a casa con la mia famiglia. Credete che mi piaccia andare porta a porta e vedere donne e bambini?» Gli chiesi quante persone avesse ucciso. Rispose che non era affare mio. Disse anche che l'esercito libanese era impotente, erano stati a Beirut per anni e non avevano fatto nulla, che Israele era dovuta arrivare per fare tutto il lavoro.

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